Attenzione!

Questa pagina è vietata a coloro che non hanno domande,  è vietata a coloro che non hanno sete, quindi fuori tutti quelli senza desideri, fuori tutti quelli che si sentono a posto, pieni, sazi, che non hanno nulla da rimproverarsi, non è per voi se siete in questa condizione di pienezza, se invece avete sete e siete rosi e presi da grandi desideri restate, c'è qualcosa per voi.

 

Fermiamoci un attimo e ciascuno di noi legga dentro di sé: Ho questi desideri? ho questa sete? c'è qualcosa di insaziabile che rimane anche quando mi sembra di aver raggiunto un obiettivo?

immensamente è...responsabilità

[1]DON BOSCO RACCONTA

Dio ci vuole in un mondo migliore di questo

Stavamo entrando nell'era industriale. Dovevo adattarmi ai nuovi tempi, alle nuove tendenze, senza rifugiarmi in pericolose nostalgie di epoche che ormai erano tramontate per sempre. Tante cose non andavano per il verso giusto. Ma invece di perdermi in sterili lamentele, preferivo rimboccarmi le maniche e lavorare con un altro stile: nel mio piccolo, senza voglia di strafare, desideravo costruire un mondo migliore offrendo a tanti giovani un pane guadagnato onestamente mediante un lavoro degno come persone libere e non schiavi da sfruttare. Sapevo che "il demonio ha dei servitori dappertutto", anche se avevo la certezza che "chi ha Dio ha tutto". E allora mi aggrappavo alla saggia norma del "Nulla ti turbi!", consiglio e monito che raccomandavo ai miei salesiani. 
Per formazione e per carattere non mi lasciavo facilmente abbattere. D'altronde la vita non mi aveva risparmiato difficoltà e sfide. Perciò dicevo: "Che vale lamentarsi per i mali che ci affliggono? Molto meglio fare di tutto per superarli. Questa gente che ci governa ha molto bisogno della nostra compassione: sono troppo seri i conti che aprono con Dio!". Suggerivo di reagire con una tattica nuova, coraggiosa: "Al mondo malizioso non possiamo opporre solo dei 'Pater noster'. Ci vogliono opere!". Tentavo così di arginare tanto male, con un po' di bene. 
Ero convinto che "i nostri paesi sono ormai diventati terra di missione". Per questo insistevo con i miei salesiani: "Se non lavorate voi, lavora il demonio". 
Sorretto da ideali coraggiosi mi lasciavo guidare da questo programma: "Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerarietà". Perciò avevo sempre cercato di dare risposte concrete, come le circostanze richiedevano. Scrivevo a don Cagliero che da un anno sgobbava in terre argentine: "Abbiamo in corso una serie di progetti che sembrano favole o cose da matti in faccia al mondo, ma appena esternati, Dio li benedice in modo che tutto va a gonfie vele. Motivo di pregare, ringraziare, sperare e vegliare". L'ottimismo che sempre mi sorreggeva a volte sembrava sul punto di svanire nel nulla. Erano le pareti di nuovi edifici costruiti a Valdocco con sudore e sangue che crollavano nel cuor della notte; erano i preti che avevano studiato da me e che, da un giorno all'altro, mi lasciavano senza nemmeno dirmi un grazie; era un'improvvisa folata di vento che spalancava misteriosamente la finestra e rovesciava il calamaio sui fogli ove erano stati diligentemente scritti gli articoli delle Costituzioni che l'indomani mattina dovevano essere spediti con urgenza in Vaticano; e c'era quel clima di incomprensione, di false dicerie, di animi infiammati, di libercoli anonimi contro l'arcivescovo di Torino che avvelenavano gli animi. 
Nel 1854 avevo scritto al conte Clemente Solaro della Margherita, un politico serio e coraggioso, un cattolico tutto d'un pezzo: "Qui non si tratta di soccorrere un individuo singolo, ma di porgere un tozzo di pane a giovani cui la fame pone al più gran pericolo di perdere la moralità e la religione". Sullo stesso tema, ma con accenti ben più urgenti e drammatici, avevo insistito nel 1886 parlando alla nobiltà di Barcellona: "Il giovane che cresce per le vostre strade, vi chiederà da prima una elemosina, poi la pretenderà e infine se la farà dare con la rivoltella in pugno". 
Chiedere e ringraziare, ecco l'eterno movimento di diastole e sistole di tutta la mia vita. Coinvolgevo in questo i miei benefattori con un affetto umano, caldo, delicato e sempre personalizzato. Un amore che accomunava benefattori e beneficati in un rapporto filiale e sincero. Con alcune benefattrici mi riservavo la gioia di chiamarle (Dio sa con quanta riconoscenza!) "Mia carissima e buona Mamma". 
Ho lottato per tutta la vita per ridare a tanti giovani la gioia di vivere, rivestendoli con una dignità troppo spesso calpestata. Ho vissuto con loro per capirne meglio i bisogni, le speranze e i sogni, per costruire con loro una vita degna di figli di Dio. Ho adottato con loro e per loro un sistema educativo in cui è presente un Dio buono e provvidente, misericordioso e paziente. Ho messo Dio nel cuore dei miei giovani perché li conoscevo assetati di verità e di giustizia. Ho fatto scoprire a migliaia di ragazzi sbandati, violenti e ribelli la nostalgia di Dio. Mi son fatto il prete della gioia e della speranza, del perdono trasmesso nel nome di Gesù salvatore trafitto e risorto. Ho preso per mano ragazzi difficili e li ho portati ad assaporare la felicità di un cuore nuovo. Ho proposto loro un nuovo cammino di santità, alla loro portata, una santità simpatica perché affascinante ed esigente al tempo stesso. Ho fatto della gioia la mia bandiera. 
Non ho cambiato il mondo, tutt'altro! Ma pur con gli inevitabili sbagli che sempre accompagnano l'agire umano, ho coscienza di aver fatto la mia parte. Ho aperto nuovi cammini per educare, amare e servire la gioventù. I miei sogni hanno lasciato i segni.

 

 



[1] Da Bollettino Salesiano - PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA -  http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2013&m=7&doc=8754